cinemavistodame.com di Roberto Bernabò

Watchmen – di Zack Snyder

USA – Gran Bretagna – 2009

analisi di eventi, esistenti, e (mai come questa volta) linguaggio audiovisivo

Audace revisionismo storico in chiave fumettistica o atroce banalizzazione filosofico visiva? – a cura di Roberto Bernabò

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titolo originale: Watchmen
nazione: U.S.A. / Gran Bretagna
anno: 2008
regia: Zack Snyder
genere: Azione
durata: 163 min.
distribuzione: Warner Bros
cast: M. Akerman (Laurie Juspeczyk / Silk Spectre II) • B. Crudup (Jon Osterman / Dr. Manhattan) • M. Goode (Adrian Veidt / Ozymandias) • J. Haley (Walter Kovacs / Rorschach) • J. Morgan (Edward Blake / The Comedian) • P. Wilson (Dan Dreiberg / Nite Owl II) • C. Gugino (Sally Jupiter / Silk Spectre) • S. McHattie (Hollis Mason / Nite Owl)
sceneggiatura: D. Hayter • A. Tse
musiche: T. Bates
fotografia: L. Fong
montaggio: W. Hoy
uscita nelle sale: 6 Marzo 2009

Trama: Tratto dalla celebre Graphic Novel di Alan Moore “Watchmen” è una complessa ed appassionante storia ambientata in un’ipotetica America in cui Richard Nixon è ancora al potere, dove si fronteggiano i blocchi contrapposti USA/URSS: il mondo è sull’orlo di una guerra nucleare e un gruppo di supereroi del passato, ormai invecchiati e disillusi, si scontra con la realtà di un mondo molto diverso da quello in cui avevano vissuto i loro giorni di gloria.

“Questa città ha paura di me. Ho visto il suo vero volto.”
Dr. Manhattan

1. Premessa introduttiva – la critica statunitense

E lo so. Lo so che molti di voi rimarranno delusi da questo post. E dire che c’è anche nella critica americana più accreditata chi ne è letteralmente entusiasta, come quasi tutti i cineblogger italiani. Roger Ebert, ad esempio sul Chicago Sun-Times lo ha definito un “film viscerale” che “evoca le sensazioni della graphic novel” ed è “ricco abbastanza da essere visto più di una volta”.  O Kyle Smith, del conservatore New York Post, che ha utilizzato aggettivi quali “cerebrale”, “scintillante”, “magnifico” e lo ha paragonato ad alcuni lavori di Stanley Kubrick, a Mick LaSalle del liberal San Francisco Chronicle, per il quale “il regista Zack Snyder sta iniziando a essere la migliore cosa accaduta al genere action negli ultimi dieci anni”. O ancora Richard Corliss del TIME (“film ambizioso”, a tratti “magnifico”), Ian Nathan di Empire (“intelligente, stiloso, apprezzabile”) e Patrick Parker di Premiere (“un film che piacerebbe anche ad Alan Moore”).

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Eppure oltre a rimarcare il fatto che non sarò il solo a stroncare senza possibilità alcuna di appello questo film –

e sarei già in ottima compagnia anche solo tra i critici statunitensi (quelli maggiormente in grado per ovvie ragioni e non solo storiche a disquisire di questa opera a pieno titolo) cito tra i tanti Philip Kennicott sul Washington Post che ha scritto che Watchmen è una noia, affondato dal peso della riverenza per l’opera originale” (affermazione, peraltro, opinabile) o A.O. Scott del New York Times che ha chiosato sul film definendolo: un prodotto “interminabile” (come non essere d’accordo con lui) o Joe Morgenstern del Wall Street Journal guardare il film “è l’equivalente spirituale di essere colpiti sul cranio per 163 minuti” (beh magari ha esagerato, eh), si arriva all’alquanto negativa opinione di Justin Chang di Variety (“incompleto per la sua riverenza”), cui ha fatto eco Kirk Honeycutt di The Hollywood Reporter, ad oggi autore di quella che forse è la critica più spietata, nella quale, senza lasciare spazio alcuno a interpretazioni, Watchmen è bollato come “il primo vero flop del 2009”

– proverò anche a farvi comprendere come forse già nell’opera di Alan Moore possano esistere dei riferimenti, come dire, banalizzanti a temi filosofici serissimi quali l’esoterismo ed il nichilismo di Emil Cioran e René Guénon o l’esistenzialismo di Jan Paul Sartre.

Insomma, lo abbiamo capito già da questa breve premessa, Watchmen è una di quelle pellicole sulle quali ci si divide in fazioni. Chi lo ama e chi lo odia.

E non sempre, a quanto pare, il giudizio è legato alla difficilissima operazione di trasposizione o adattamento dal fumetto al filmico, operazione solo apparentemente semplice (entrambi i linguaggi  narrano una storia utilizzando una sequenza di scene), ma la differenza ontologica tra le due strutture narrative sta nel fatto che mentre nel fumetto la scena è ferma, ed ogni bozzetto ha (o può, quanto meno, avere e nel caso di specie è così) dei significati e dei significanti precisi ed ineludibili, nella sequenza filmica l’immagine è in movimento, e qualcosa, pertanto, della pregnanza del bozzetto deve essere sacrificata sull’altare dell’azione, nell’accezione più elementare del termine.

la-locandina-di-watchmen

2. Premessa ontologica – Fedeltà o infedeltà verso la Graphic Novel di Alan Moore (un falso problema)

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Molte recensioni si fermano ad analizzare la cosiddetta fedeltà nell’operazione di trasposizione tra l’opera in fumetto originaria, realizzata e serializzata nel 1986 dal maestro Alan Moore e dal disegnatore Dave Gibbons.

Un’opera, quest’ultima, che rappresenta uno dei più grandi capolavori della storia del fumetto (unica graphic novel inserita da TIME tra i 100 migliori romanzi contemporanei, hai detto cotica), in grado di mettere in discussione la figura del supereroe e di riscrivere le regole del genere letterario a essa legato. Non deve stupire pertanto che sono stati necessari oltre venti anni per compiere questa difficilissima operazione di adattamento del fumetto Watchmen in un lungometraggio, un processo infinito ed infinitamente doloroso durante il quale si sono avvicendati cambi di produzione,  di registi e che è stata addirittura teatro di cause legali, che hanno portato lo stesso autore Alan Moore ad allontanarsi dal progetto (non è infatti citato nei titoli di testa e di coda) ed a creare l’opinione diffusa, suggerita dal regista Terry Gilliam, che il film fosse irrealizzabile.

Finite anche le premesse ontologiche sulla trasposizione cercheremo di analizzare meglio cosa del film secondo me funziona e cosa invece, e qui lo so sarò tacciato di irriverenza persino verso l’opera di Alan Moore, non funziona assolutamente, pur comprendendo che i riferimenti e le citazioni anche filmiche sono di spessore notevole ed è questa una delle principali ragioni della mia personale critica al film.

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E qui l’analisi del film entra nel suo specifico.

3. Analisi dello specifico narrativo

Riflettere sulla natura dell’uomo (americano?).

E qui iniziano le dolenti note.

Diciamo che lo specifico filmico in questo caso poggia su tre pilastri.

  1. L’epica e l’etica del supereroe, un’epica ed un’etica tutte americane e quindi difficilmente comprensibili senza uno studio approfondito, ma sulle quali, comunque, nel tempo, mi sono fatto un’idea mia.
  2. La commistione di personaggi reali con i personaggi del fumetto (e questo rende peculiare sia l’opera originaria sia la trasposizione).
  3. Last but not least, i riferimenti filosofici ai quali l’opera pare ispirarsi e conseguenti citazioni cinephile che sono, peraltro,  ovviamente tutte avulse dall’opera originaria, e che fanno, invece, parte di quel materiale filmico che Zack Snyder, non senza supponenza e dotta presunzione, aggiunge.

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3.1. Esistenti: l’epica del supereroe di Alan Moore ed i riferimenti alle divinità greche

Qui entriamo in un ambito specifico. Per quello che mi è dato di conoscere dell’epica e dell’etica del supereroe ecco cosa troviamo di comune tra quella dei supereroi classici rispetto alla narrazione di Watchmen, sia nell’opera di Alan Moore che nella trasposizione di Snyder.

I supereroi di Moore possiedono tutti (chi più chi meno in verità) dei super poteri, tali super poteri nel caso del Dr. Manhattan, derivano un incidente in un laboratorio nucleare ed anche questo espediente accomuna questo elemento a quello di altri supereroi (vedi Superman o Spiderman). Esiste un evento preciso che conferisce i superpoteri.

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Il Dr. Manhattan (Billy Crudup), l’unico con superpoteri nel senso letterale del termine, vive al di fuori del tempo e dello spazio ordinari, le forze del cosmo apparente sono una sorta di film sotto la sua pelle. Ozymandias (Matthew Goode) è l’uomo più intelligente del mondo. Il Nite Owl (Patrick Wilson) è un uomo isolato dalla vita, con la sua padronanza della tecnologia. Rorshach (Jackie Earle Haley), la voce fuori campo il cui diario scandisce la progressione non sempre lineare degli eventi, è un uomo che trova significati in modelli che possono esistere solo nella sua mente. E Silk Specter II (Malin Akerman) vive con una delle sfide più familiari ed umane, fino a che vivono i suoi genitori, in questo caso l’originale Silk Specter (Carla Gugino).

Watchmen” si concentra sulla contraddizione, condivisa dalla maggior parte dei supereroi: essi non possono vivere la vita ordinaria, ma sono destinati ad aiutare l’umanità.

Ed è peraltro evidente, nel caso di specie, che gli stessi nomi di questi personaggi richiamano le loro origini nella antica Grecia, ed evidenti sono i riferimenti agli dei come Zeus, Ade, con il suo cane a tre teste, ed il suo Hermes alato ai suoi piedi.

Tale livello di simbolismo è il minimo comune multiplo, a guardare bene, di tutti i supereroi.

Qualità ricorrente in Batman è, ad esempio, la sua umanità, e nonostante le sue doti eccezionali egli non è SuperNormale.

Gli esistenti Super eroi di “Watchmen“, in qualche modo ricalcano questa ontologia, ed in parte la superano, quasi come se, tra loro, ne esistessero di superiori e di inferiori.

Acme di questo esplicito riferimento alle Divinità Greche è proprio il Dr. Manhattan, che possiede l’accesso ad un potere di teletrasporto aereo che lo stacca dalle preoccupazioni di tutti i giorni – ed addirittura da se stesso e dal suo tempo.

Nel film la scena più spettacolare è proprio quella che riguarda tale esistente esiliato su Marte, che, in totale isolamento, re-immagina se stesso come un essere umano, ed evoca (o scopre?  o costruisce, non sono sicuro), una incredibile città apparentemente fatta di cristallo e concetti matematici (pronta a cadergli addosso in sincronia con la sua scoperta del nesso miracoloso che lo lega a Silk Specter, peraltro).

E’ proprio in questo luogo che egli avrà la visione, definitiva, che lo ricondurrà sui suoi stessi passi e lo porterà di nuovo sulla Terra come nostro salvatore. Quasi come un nuovo Messia laico.

Da notare, peraltro, una violenza diversa, e non sempre facilmente equiparabile o confrontabile con l’etica di altri personaggi, più riconducibile, e mi ripeto, alle gesta degli Dei che non a quelli dei Supereroi classici.

E’ il caso del comico che compie gesti spesso esecrandi o l’integralismo di Walter Kovacs / Rorschach che mai utilizzerebbe la violenza contro innocenti per un fine superiore.

E potremmo continuare dicendo che non è nell’epica del supereroe che ho trovato da ridire sul film, anzi, la stessa è molto sapientemente costruita, ha una sua ineludibile coerenza, e risulta molto particolare proprio perché non è avulsa dal contesto storico nella quale si esplica, anzi, ne è addirittura parte integrante e salvifica, se è vero che le sequenze al rallenty della guerra del Vietnam vengono rivisitate, in chiave fortemente allegorica e simbolica, proprio grazie all’azione dei supereroi di Moore.

Potremmo concludere questo paragrafo dicendo che mentre i supereroi tradizionali sono in qualche modo frutto di una fantasticheria sulla necessità di contrastare la violenza della società americana, (e quindi ne sono in qualche modo l’antitesi), nella graphic novel di Alan Moore, e, quindi, nel film di Zack Snyder, sono invece la quintessenza della società americana. Ne incarnano, come chiaramente spiegato nell’incipit di questo post, il vero volto.

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3.2. Gli eventi: la commistione di personaggi reali con i personaggi del fumetto

Una peculiarità del racconto di Alan Moore, e quindi del film, è che l’autore innesta l’azione dei suoi supereroi nel contesto di un preciso momento storico, e li fa interagire con gli eventi reali della Storia, quasi come se gli stessi rappresentassero dei riferimenti iconografici e smimbolici delle forze che gli USA furono costretti a mettere in campo, in quel periodo, per controllare e cercare di arginare:

  1. gli equilibri energetici,
  2. economici,
  3. sociali del mondo,

mantenendo un “ordine” necessario a contrastare l’avvento di un’era di anarchia, che sia l’ideologia comunista, che quella della cultura rock rischiavano di far progredire, con grande preoccupazione da parte dei sostenitori della società capitalistica, ed in qualche modo essi ne rappresentano, ed è qui un primo riferimento esoterico, tesi e antitesi. Bene e male uniti in un unico, in un’ambigua lotta che porta ad implicazioni molto serie, con le teorie filosofiche (e anticlericali) più complesse inerenti la condizione esistenziale dell’uomo sulla terra.

Dopo la rivelazione di “The Dark Knight“, “Watchmen” rappresenta un altro esercizio di stile per la liberazione dei supereroi nel film.

Watchman, intendiamoci, per dirla con Roger Ebert, è una pellicola sicuramente interessante e viscerale: suoni, immagini e personaggi sono combinati in una decisamente singolare esperienza visiva, che evoca l’atmosfera della Graphic Novel dalla quale sono tratti.

Un racconto narrato come una favola, in cui il fulcro è un mondo che sembra avere perso ogni speranza.

Questo mondo è l’America nel 1985, con Richard Nixon alla Casa Bianca (curioso anche Donnie Darko si agganciava a questo periodo) e molti altri strani particolari, anche se questa America occupa un universo parallelo in cui, oltre ai personaggi reali, sono i supereroi mascherati ed i guerrieri ad agire gli eventi della storia. Sicuramente devo riconoscere che, ad esempio, l’inizio del film ha senz’altro del visionario. Rivedere ricostruiti, negli open credits più singolari che mi sia capitato di vedere al cinema, tutti i principali eventi, come definirli, sixty, (che ci aiutano proprio nella collocazione temporale del racconto), della storia dell’America (e quindi del mondo), sul sottofondo musicale della celebre ballata di Bob Dylan: The Times They Are A-Changin’, mi aveva molto ben predisposto nei confronti del film, e mi aveva trasmesso collegamenti, quasi inconsci, con altre operazioni creative come quelle di “Moulin Rouge!” del regista Baz Luhrmann o quelle di “Across the universe” della regista Julie Taymor, forse maggiormente attineneti, visti i riferimenti di periodo storico indagato, quasi come se il cinema americano avesse la necessità d’indagare perchè, quell’embrione di cultura anarchica, è morto per sempre.

Il film affronta un paradosso che è specifico del fumetto: Gli eroi sono solo umani.

Essi possono essere in un solo luogo in un solo tempo (con una possibile eccezione di cui parlerò nel paragrafo sugli esistenti).

Anche se un supereroe è in grado di gestire un situazione di pericolo, il mondo ha innumerevoli situazioni pericolose, e le loro grandi risorse non possono essere aumentate più di tanto.

Vi è da aggiungere che in questo universo parallelo, al fine di evitare il rischio, e mi ripeto, dell’insediarsi della anarchia (rischio su cui si basano anche i miti e le leggende sui movimenti dei servizi segreti americani contro la cultura sixty dei cantanti rock con Jhon Lennon in testa), e non è un caso che il Nixon del film abbia bandito, o, meglio, proibito l’azione dei supereroi mascherati, forse in ragione di un fine connesso al mantenimento di un ordine preciso.

Ora l’assassinio del enigmatico vigilantes il Comico (Jeffrey Dean Morgan) ha riunito i Watchmen di nuovo. Chi potrebbe essere il prossimo a morire?

3.3. I riferimenti filosofici

emil_cioranJean Paul SartreRené Guenon

E’ qui che l’opera di Alan Moore, o meglio, non vorrei essere troppo irriverente, limitiamoci al film di Zack Snyder, mostra tutti i suoi più evidenti limiti.

Mentre ho trovato, lo devo riconoscere, molto ben realizzata tutta l’atmosfera di ambientazione e le ricostruzioni iconografiche del fumetto, e quindi comprendo bene le ragioni degli esaltati dall’opera cinematografica, non ho potuto non constatare la banalizzazione e la superficialità con la quale temi serissimi vengono non dico affrontati (per quanto lungo stiamo comunque parlando di un film), mi limiterò a dire sfiorati, quasi come delle tangenti, dai significanti dell’opera in un’accezione del termine superficiale che deve essere letto nel suo significato più semplice ed, al tempo stesso, decisivo.

E’ evidente un’atmosfera, ad esempio, molto poco spirituale (a parte la sequenza, a dir poco vomitevole, del miracolo della vita, sul finale del film), e molto agevolmente riconducibile ad una visione nichilista del mondo e dell’esistenza.

Dio è visto come un’entità assente, ed, in ogni caso, impotente difronte al succedersi degli eventi, creati dalla malvagità dell’umanità.

Impotente difronte al libero arbitrio, direte voi.

No, vi dirò io, il riferimento è molto, e più platealmente, esoterico.

Dio non s’interessa a noi, ed, al contrario, si ciba di morti, dei morti che ogni giorno l’umanità gli regala.

Però, per favore, non banalizziamo troppo, e sai una cosa caro  Zack Snyder(?), leggiti di Emil Cioran: “Confessioni e anatemi“, il suo libro-testamento, che testimonia a un tempo di una rottura totale e di una certa serenità fondata sul nulla, o studiati a fondo qualcosa di Jean-Paul Sartre che è stato uno fra i massimi esponenti dell’esistenzialismo ed uno studioso le cui idee sono sempre state ispirate da un pensiero politico orientato verso la sinistra internazionale (negli anni della guerra fredda sostenne le ragioni dell’allora Unione Sovietica, pur criticandone in diversi suoi scritti la politica), prima di metterti a dissertare di certi temi. O approfondisci l’opera di René Guénon i cui studi ridefinirono la nozione di metafisica come «conoscenza dei principi di ordine universale, da cui tutto procede», l’opera di René Guénon non si presentò né come un sistema filosofico basato sul sincretismo, né come formalizzazione di un pensiero neospiritualistico. Piuttosto, essa fu diretta, nelle intenzioni del suo autore, all’esposizione di alcuni aspetti delle cosiddette «dottrine tradizionali» (Taoismo, Induismo, Islam, Ebraismo, Cristianesimo, Ermetismo, Libera Muratorìa, Compagnonaggio, ecc.), intese come espressioni del sacro, funzionali allo sviluppo delle possibilità di realizzazione spirituale dell’essere umano.

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Questa mancanza di entità religiose ed, anzi, questo portare avanti lo sviluppo di tesi esistenzialiste, porta alla considerazione che la televisione, altra icona assolutamente allegorica (e diabolica?) della società americana, attraverso un personaggio fintamente reale, dirà ad un certo punto “Dio esiste ed è americano, anzi il supereroe esiste ed è americano“.

Dentro questa affermazione c’è tutto il contenuto di destra di questo film, che è un film violento proprio per questo tentativo di sostituire l’uomo, per quanto intelligente e superdotato, ad un Dio.

Certo, sentiremo smentire questa allusione. “Io non sono un Dio, vedo solo nel mio futuro”. Oppure “Ho detto che i miracoli non esistono, ma mi sbagliavo esiste nella corsa degli spermatozoi che generano la vita”.

Ma il paragone tra la perfezione di Marte, nel quale la vita è totalmente assente, all’imperfezione del nostro mondo del quale il Dr. Manhattan disprezza la sua preoccupazione a costruire nuovi centri commerciali (Dio mio che banalità) resta.

Come resta, infinitamente imbarazzante, il suo ravvedimento in ragione dell’amore, quasi come se l’intero destino della umanità, la lotta per evitare lo scontro nucleare durante la guerra fredda, fosse racchiuso in un bacio che il supereroe concede a Sally Jupiter / Silk Spectre.

Insomma, per me, davvero troppo, scusatemi.

4. Le citazioni cinephile

Ho molto apprezzato la ricostruzione parodiata di Richard Nixon, dove ho intravisto un riferimento iconografico a Point Break – punto di rottura, diretto da Kathryn Bigelow in cui, guarda caso, Patrick Swayze è Bodhi (che è il diminutivo di Bodhisattva), il leader carismatico di una gang di surfisti che rapinano le banche, per finanziare il loro stile di vita da surfista e le spedizioni di skydiving e come forma di ribellione contro il sistema sociale che credono “uccida lo spirito umano”. A proposito in bocca al lupo Patrick Swayze per la lotta contro il tuo male.

Infinite le altre citazioni cinephìle.

Ironiche e meno scontate di quanto si possa pensare sono quelle al “Dr. Stranamore” o ad “Apocalypse now” di Stanley Kubrick, più banale e scontata quella a Wargames – Giochi di guerra diretto da John Badham.

Ma vi potreste divertire a trovarne molte altre.

5. Altri limiti del film – uno specifico filmico troppo cerebrale

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A mio modo di vedere sono tutti sulle scelte registiche. E possono essere riassunte nell’aggettivo cerebrale.

Il film è troppo cerebrale (ma quel cerebrale che amplifica ahimè l’inevitabile semplificazione che il fumetto ed il linguaggio audiovisivo devono, per esigenze ineludibili, operare sui temi complessi come quelli filosofici) a discapito dell’azione e della messa in scena, vero punto di forza di entrambi i medium. Penso agli eccessi di riflessioni agite con voce fuori campo del personaggio azzurro del Dr. Manhattan, in certi casi davvero troppo lente, e lunghe, ed arzigogolate, oltre che banalizzate rispetto all’opera originaria.

In questo senso trovo, ad esempio, una vera lezione di stile, sul come certe temi possano essere sviluppati su un piano di esclusivo specifico filmico, quella operata da Christopher Nolan in “The Dark Knight – Il cavaliere oscuro“.

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Paragone e confronto ineludibili. Lo smile sporcato di sangue del comico di Watchmen, non rievoca, forse, il sorriso beffardo del Joker di “Why so serius?

Non entro, volutamente, nel merito della fedeltà o della parziale infedeltà all’opera originaria, anche se mi limiterò ad una semplice considerazione che interpreta, perfettamente, il mio sentire:

“O copi, e basta”, o “autorizzi” (in più accezzioni del termine) il tutto. Stravolgi il senso dell’originale reintepretandolo secondo la tua Visione d’Autore (esempio classico: Kubrick e “Shining“). Ma questa cosa la puoi fare, appunto, se sei Kubrick. Di sicuro non te la puoi permettere se di cognome fai Snyder, e hai una fissa per i rallenty e le nudità esibite”.

6. La colonna sonora e le rese attoriali

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Ah si, un’ultima cosa, ragazzi. La colonna sonora è ottima. Davvero. La scelta dei pezzi, per quanto sia “facile“, è efficace, incisiva, spesso aggiunge un tocco di ironia.

Reggono il comparto scenografico e fotografico, gli attori, che, va detto, fanno tutti egregiamente la loro parte (esclusa l’attrice Carla Gugino che interpreta Silk Spectre II, evidentemente lì per altre ragioni, sulle quali voutamente non entrerò per non apparire misognino cosa che, vi assicuro, non sono).

E non ho altro da dire su questo film.

Da leggere acoltando ovviamente: the-times-they-are-a-changin’ di Bob Dylan.

Link

Un post molto interessante sulla grphic novel qui.

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Gianluigi
14 anni fa

Ho commentato così il film in una e-mail mandata a un amico il giorno dopo averlo visto:
Bello ma insoddisfacente
In questa lunga recensione mi sembra che hai ben descritto buona parte dei miei dubbi sul film (e ovviamente tutti dovuti al fatto di aver letto il fumetto).

Francesco
15 anni fa

mi è piaciuto senza strafare(voto 6-7, per la musica 9), certo il cavaliere di Nolan è altra cosa(voto 9-10), ma Watchmen non mi ha fatto guardare l’orologio.
Un appunto:il Nixon di F.Langella di Ron Howard batte quello di Watchmen 10 a 1!

akiro
15 anni fa

io l’ho trovato magnifico. del fumetto ricordo poco ma trovo interessante e ottima la trasposizione.
certo, fa venire il mal di testa ed è lungo lungo lungo… ma mica si può fare con tutti i libri come con il signore degli anelli, no?

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[…] Sentirete parlare d’infedeltà della trasposizione rispetto all’opera letteraria. Qui la mia stroncatura al […]

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