cinemavistodame.com di Roberto Bernabò

Massenzaiello – arena – cineforum – pellicole che fanno pensare

 Massenzaiello – arena – cineforum

pellicole che fanno pensare

i cineforum

Chissà se esistono ancora da qualche parte.

I cineforum. Con i loro dibattiti e le loro riflessioni.

Ricordi di un tempo che fu come i film d’estate nelle arene. 

Con i loro audio fruscianti. Le loro sedie azzurre in legno reclinabili scomodissime. Con i loro canti di grilli e di zanzare, la loro ghiaia, i pullover portati sulle spalle o in vita nel mese di settembre, le loro proiezioni interrotte dalla pioggia, o dal troppo freddo.

50 £ire

E le gazzose vendute a cinquanta £ire nelle, ormai intorovabili, bottiglie di vetro verde azzurrognolo.

Il mio amore per il cinema è nato anche lì. Dentro visioni di film che non capivo. Come "Professione Reporter" di Michelangelo Antonioni, che vidi credo all’età di quattordici o quindici anni in compagnia di mia sorella.

E per chi è nato a Napoli e fa parte della mia generazione (e non solo), non può si può non ricordare la summa divisio che dei film svolgeva, al cineforum del Pontano, il mi-ti-co padre Perna:

  1. categoria 1: "un film che fa pensare";
  2. o, nei casi tosti, categoria 2: "un fim che fa molto pensare".

Ecco stasera, a casa di Enzo, nella sua Massenzaiello arena cineforum, noi ripercorreremo quelle gesta, con il film:

 Paradise now di Hany Abu-Assad

breve anlisi di eventi ed esistenti

Paradise Now - locandina film  

Togliersi la vita per uccidere nel nome di Maometto e di una lotta – terrorismo vs. disperazione

Titolo originale:  Paradise Now
Nazione:  Palestina
Anno:  2005
Genere:  Drammatico
Durata:  98′
Regia:  Hany Abu-Assad
Sito italiano:  www.luckyred.it/minisiti/paradise/
Cast:  Kais Nashef, Ali Suliman, Lubna Azabal, Amer Hlehel, Hiam Abbass, Ashraf Barhom
Produzione:  Bero Beyer
Distribuzione:  Lucky Red
Data di uscita:  15 Ottobre 2005 (cinema)

Inperepti e personaggi:
Kais Nashef …. Said
Ali Suliman …. Khaled
Lubna Azabal …. Suha
Amer Hlehel …. Jamal
Hiam Abbass …. Said’s mother
rest of cast listed alphabetically:
Ashraf Barhom …. Abu-Karem
Mohammad Bustami …. Abu-Salim
  (more)

Certo non è facile affrontare, in novantotto minuti di pellicola, un tema complesso come quello della questione palestinese o della questione israeliana, se preferite.

Un tema antico che divide terre, popoli, religioni, visioni differenti del modo con cui portare avanti le ragioni di un’ideale.

Lo diventa ancora di più se chi narra è un esponente, e non importa se fondamentalista o moderato, di una delle parti in campo.

Lo diventa ancora di più se si vuole fare un film con intenzioni documentariste, divulgative, promettendo allo spettatore di trascorrere ventiquattro ore nella mente di un kamikaze.

Sicuramente va riconoscito l’intento nobile di questa opera, mai nessun altro film, girato da un palestinese, aveva raccolto così tanti premi e nominations un po’ in tutto il mondo.

Striscia di Gaza

Una pellicola che divide, che arriva, che non lascia certo indefferenti (se si fa, ovviamente, l’eccezione di Gennaro che dormiva dopo circa dieci miniti, ma voglio dire, consideriamo tale evento un’invariante rispetto alla conduzione della nostra analisi).

A me tutto sommato il film è piaciuto, ma si.

Certo non esaurisce, nella maniera più assoluta il tema, ma avvicina, attraverso la maieutica arte della visione, posizioni forse, per certi versi, inconciliabili.

Ci aiuta a capire che dentro la questione palestinese non esistono blocchi granitici di schieramenti.

Ma che, al contrario, i colori delle sfumature, i modi e gli strumenti delle strategie per condurre la lotta, sono tanti, e molto variegati e diversi.

§§§

I piani di sviluppo del conflitto – una scelta divulgativa

Il regista Hany Abu-Assad semplifica tutto questo coacervo di posizioni in una inevitabile, e tutto sommato sostenibile, prospettiva di sviluppo del conflitto, nei due antagonistici estremi del continuum della questione palestinese.

Uno moderato, forse quello del regista, impersonato dall’esistente  Suha, la figlia di un eroe della lotta palestinese, appartenente alla borghesia benestante e illuminata e che sembra più essere, peraltro, spettatrice esterna alle ragioni più estreme della causa.

Uno più fondamentalista, quello di Said e Khaled, i due ragazzi qualsiasi della Striscia  di Gaza, poveri, disperati in una terra disperata, votati al sacrificio in una causa sacrificale, ed impari, dal punto di vista narrativo registico (e questa, apparentemente scontata, verità, colloca invece, a mio modo di vedere, la pellicola ontologicamente nella categoria del cinema documentaristico, inevitabilmente, cioè, schierato), per lo squilibrio delle forze in campo.

Non mancano, peraltro, le critiche interne al movimento armato palestinese, ed al modo di sfruttare la debolezza dei "collaborazionisti".

Ma "Possiamo essere pari nella morte" è una frase che ti resta attaccata addosso con tutta la sua morale ed amorale incombenza.

Va aggiunto che lo sviluppo del conflitto, nel sottofondo di queste due antoagonistiche posizioni, è agito anche su altri piani, ed in particolare questi sono:

  • infra-personale nell’interno della psiche di un po’ tutti gli esistenti, e soprattutto in quella di Said e di Khaled;
  • inter-personale tra Said e Khaled, ma anche tra i due ragazzi e Suha;
  • sociale per la diversa condizione in cui si trovano i tre protagonisti;
  • etico tra le reali motivazioni dei vertici del movimento e la base, strumentalizzata da questi facendo leva sulla debolezza ed il bisogno. 

Ed è anche agito, ovviamente, su di un piano di lotta tra Palestina ed Israle, ma è forse proprio il portare questa lotta, pur centrale nel messaggio verso l’alto del film, quasi come un sottofondo a tutti gli altri piani di sviluppo del conflitto, il nucleo dell’intenzione documentarista ma anche, come dire, divulgativa della pellicola.

E’ come se tutto l’intreccio fosse sviluppato, in effetti, non tanto in funzione del point of concentration della mente del kamikaze, ma più dal point of concentration, composito e complesso, della causa palestinese.

§§§

Specifico filmico

Devo anche riconoscere che lo specifico filmico (va bene così Enzo?) di Hany Abu-Assad è probabilmente, infatti, racchiuso in una delicata opera di coerenza nella scelta, non solo della composizione degli esistenti, forse un tantino eccessivamente stereotipata proprio per argomentare, con sufficente chiarezza, le cose fondamentali del tema in gioco, ma piuttosto, di cambi di passo di ambientazione filmica e psicologica.

Non sarebbe azzardato definire l’opera uno psicodramma con sfondi più sociali che etici o religiosi.

Un gioco di climax agito sia con la progrssiva trasformazione, anche fisica, dei due esistenti protagonisti, che con certe sottolinetaure formali.

 

Come ad esempio questa immagine relativa al momento in cui le posizioni dei due ragazzi si separano definitvamente.

Il kamikaze Said resta in chiaro, mentre il suo compagno Khaled, ormai non più convinto del passo, in un oscuro controluce, bloccato dal vetro trasparente del finestrino, quasi una simbolica barriera mentale, sottile ed invisibile, … un’immagine evocativa non c’è che dire.

Oppure nella incisiva documentazione della desolante ed emarginata condizione sociale dei due amici poi reclutati come kamikaze.

Anche la progressione dell’intreccio è portata avanti, filmicamente, con una certa qual raffinata tecnica di screenplay.

La crisi dei personaggi, per quanto forse poco convincente su un piano neorealista, è, invece, assolutamente corretta dal punto di vista della  struttura narrativa e, forse, tutto sommato, anche sufficientmente evocativa di verità spesso volutamente nascoteci dagli organi d’informazione di massa.

Certo restano dubbi nell’anima di un occidentale.

Il dolore della madre, la strumentalizzazione di giovani coscienze forse più disperate che terroriste, condotta per la realizzaizone di un disegno di lotta che non potrà mai fermare, anzi, la spirale della vendetta.

il dolore della madre di Saidla crisi di Said

§§§

Conclusioni

La sequenza che, personalmente, mi ha inquietato di più non è quella in cui Said rinuncia una prima volta all’azione perché vede un bambino nel pulman, ma quella in cui i due amici kamikaze, ormai trasformati in due occidentali nelle sembianze, entrano in una americanissima Tel Aviv e si mescolano – in un’ambientazione filmica che sembra ricondurli ad un’integrazione con stili di vita a noi più familiari – simili tra i simili, e diversi solo per lo spettattore che sa (eh Alfred Hitchcock sei arrivato anche in Palestina), solo per portare ad esecuzione il loro disegno di lotta.

Pronti cioè a morire e ad uccidere, due atti uniti in un unico (la vera essenza dell’essere kamikaze), ma un unico disperato e disperante, agito solo nel nome della, mi scuserete la cacofonia, disperazione delle loro vite.

Una cosa sulla quale occorerebbe riflettrere effettivamente a lungo.

Questa verità, aldilà di tutto il possibile spettro di torti e di ragioni che sappiamo non essere mai da un parte sola, arriva con un potenza evocativa assoluta e devastante, nella piena accezione di entrambi i termini.

Qui i riconoscimenti della pellicola.

Due tag e una ricerca

tag correlati  Israele; Palestina; Paradise now di Hany Abu-Assad.

Wikipedia – l’enciclopedia libera

Tel Aviv.

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[…] La questione israeliano – palestinese di cui ho parlato già nell’altro mio blog e che oggi è all’ordine del giorno per le note vicende. Qui e qui. […]

Nonostantetutto
17 anni fa

@minstrel … se avessi tutti lettori come te proabilmente scriverei ancora di più.

^__^

minstrel
17 anni fa

Nessun commento per un post siffatto?! Per giunta per un film tanto “scottante” e di attualità!

Probabilmente molto è legato all’incredibile ripresa del blog! In pochi giorni hai sfornato degli approfondimenti davvero impeccabili!

E io che ero venuto per vedere se avevi scritto per Cannes… hai scritto si, ma mi sono trovato con un sacco di nuove parole da leggere!

Non posso che, naturalmente, sentirmi contento di questo! Domani stampo l’analisi di “…regista di matrimoni”, me lo leggo a pranzo e poi vedo di dirti la mia!

Per ora, come sempre: Complimenti!

Yours

MAURO

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