Cinemavistodame.com di Roberto Bernabò

The Hurt Locker – di Kathryn Bigelow

analisi di eventi, esistenti e linguaggio audiovisivo

ripubblico il post del 13 ottobre del 2008 in occasione dei 6 premi Oscar vinti questa notte dal film

The Hurt Locker” in italiano significa “La cassetta del dolore“, ed è un contentitore nel quale vengono raccolti gli effetti personali dei soldati americani morti in guerra.


The Hurt Locker

titolo originale: The Hurt Locker
nazione: U.S.A.
anno: 2007
regia: Kathryn Bigelow
genere: Drammatico
durata: 131 min.
distribuzione: Videa CDE
cast: R. Fiennes (Capo mercenari) • D. Morse (Col. Reed) • J. Renner (Sgt. Mag. William James) • B. Geraghty (Owen Eldridge) • A. Mackie (Sgt. JT Sanborn) • E. Lilly (Connie James) • C. Camargo (Col. John Cambridge) • G. Pierce (Sgt. Matt Thompson)
sceneggiatura: K. Bigelow • M. Boal
musiche: M. Beltrami
fotografia: B. Ackroyd
montaggio: C. Innis • B. Murawski

Sinossi: Ritorna Katherine Bigelow dopo i grandi successi “Point Break” e “Strange Days”. Ambientato durante la guerra in Iraq, “The Hurt Locker” racconta la storia di un’unità speciale antimina che ha il compito di prevenire gli attentati dei kamikaze. La sceneggiatura è opera della stessa Bigelow, insieme al reporter di guerra Mark Boal.

In questo post:
  1. Introduzione – dedicato all’alienazione umana nel conflitto bellico
  2. Specifico degli eventi – la guerra in Iraq vista senza messaggi politici
  3. Specifico degli esistenti – significanti universali e non peculiari
  4. Specifico del linguaggio audiovisivo – tecniche di ripresa alla reportage di guerra molto a ridosso degli eventi e degli esistenti
  5. Messaggi verso l’alto e conclusioni

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1. – Introduzione – dedicato all’alienazione umana nel conflitto bellico

Nonostante le mie considerevoli aspettative su quest’opera, di cui avevo sentito parlare assai bene a Venezia, devo riconoscere che le stesse sono state, in parte, (solo in parte, eh), deluse e cercherò, in questo post, di spiegarvi il perché.

Non che la promettente regista australiana non sia brava … è che a questa pellicola manca qualcosa, quel qualcosa che arriva a toccare nel profondo, a scuotere la mente ed il cuore, e da un film così ambizioso, questa è una pecca non da poco.

§§§

2. – Specifico degli eventi – la guerra in Iraq vista senza messaggi politici

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Se poco poco, come me, vi siete un minimo documentati sul film, scoprirete che la Bigelow tende spesso a chiarire che uno dei meriti di quest’opera è che sia interamente ambientata in Iraq. Non è un caso che a collaborare con lei, nello sviluppo dello screenplay, ci sia un bravissimo reporter di guerra del calibro di Mark Boal (che ha anche vinto uno dei 6 Premi Oscar che la pellicola si è aggiudicata).

Bene se questo è vero, è anche vero che lo specifico degli eventi non ci narra una verità documentarista, in cui ripercorriamo, che ne so, il perché quella guerra è iniziata o le ragioni politiche di quel conflitto.

La Bigelow aggira questa prospettiva, ed adotta uno stratagemma narrativo che è quello del countdown. Un conto alla rovescia della missione di un gruppo di artificieri americani in Iraq.

Ora, aldilà di questa restituzione storica, gli artificieri USA in Iraq ci sono, e fanno esattamente le cose descritte nel film, il film però tende a palesarci altro.

Gli eventi che si susseguono, oltre ad essere scanditi dal countdown sono quelli tipici che accadrebbero in tutte le guerre.

Esplosioni, combattimenti ravvicinati, imboscate, morti e salvataggi.

Molto evocative di questa prospettiva a-storica sono gli abili ribaltamenti degli archetipi.

Ed ecco che un kamikaze ha paura di farsi esplodere e chiede aiuto agli artificieri americani che tentano, senza riuscirci, di salvarlo.

O anche il superiore gerarchico dell’artificiere, protagonista del film, che proprio in quella sequenza inizia a piangere, confessando al suo sottoposto i suoi limiti umani.

Ma il ribaltamento non è solo un ribaltamento archetipale.

No è anche un ribaltamento di opzioni narrative, ed ecco che il countdown è un artifizio che verrà, in parte, invertito per aiutarci a comprendere l’azione alienante che il conflitto bellico opera sulle menti umane.

§§§

3. – Specifico degli esistenti – significanti universali e non peculiari

Cosa intendo dire con il titolo di questo paragrafo?

Che, in piena coerenza con lo stile narrativo adottato, la Bigelow intende, con i suoi esistenti, farci comprendere le tensioni a cui sono sottoposti.

Le profonde motivazioni che spingono gli stessi all’azione.

In questo quadro la figura dell’eroe della storia viene quasi a deformarsi.

L’eroe del film di guerra della Bigelow è, infatti, più una essere umano alienato dalla condizione in cui vive, più che rappresentare, l’archetipo fondante il film di genere.

Nel quale l’eroe giganteggia e commuove per il suo coraggio.

Anche l’eroe della Bigelow è coraggioso, intendiamoci, ma il suo è un coraggio quasi paranoico.

Folle.

Un coraggio che non ha nulla a che vedere con gli obiettivi di quella specifica azione, se è vero che “l’artificiere” non rispetta le più elementari norme di sicurezza, e mette nella sua azione, qualcosa di personale.

Come se tra lui e le bombe ci fosse una sorta di sfida che trascende e prescinde il conflitto bellico.

Molto evocative, in tal senso, le sue dichiarazioni alla figlia, quando ritorna dalla missione.

Come se disinnescare bombe, e provare emozioni così forti, fosse diventata, per lui, l’unica alternativa ad una vita che altrimenti non lo emozionerebbe più.

Una realtà davvero sconcertante, ma che conferma, in questa sintesi, la prospettiva a-storica dello sviluppo degli esistenti, e lo sguardo universale che il significato di certe verità trasmette.

In questo senso va riletto il finale, dove il countdown riprende, in parte spiazzando l’opzione narrativa, che normalmente viene usata per esplicitare eventuali “salti” del racconto rispetto all’asse temporale dello spettatore, e rendere ancora più chiara la progressione in avanti della storia.

La sua ripresa tende a farci capire che la vita, per l’artificiere, non riprende alla fine del conto alla rovescia ma, paradossalmente, riprende non appena questo ricomincia.

Triste me possibile.

§§§

4. – Specifico del linguaggio audiovisivo – tecniche di ripresa in stile reportage di guerra: molto a ridosso degli eventi e degli esistenti

Il suggello formale alla scelta narrativa lo troviamo nelle tecniche di ripresa, che utilizzano spesso la macchina a spalla, molto a ridosso degli esistenti, un metodo molto coerente con l’imprinting di reportage, che la regista intende restituire.

Magistrale, al riguardo, la sequenza iniziale dell’esplosione, che rimane un piccolo capolavoro in sé, che, peraltro, delude le aspettative di un film che non riesce a commuovere né a scioccare.

Altra opzione del linguaggio audiovisivo è quella della posizione della regista rispetto agli eventi, che rimane neutra.

Come se la Bigelow si limitasse a riprendere la vita del gruppo per restituircela priva di:

  • una collocazione politica
  • una presa di posizione rispetto, ad esempio, alla posizione degli USA e alla giustezza o meno del conflitto.

Ed è di appena ieri (il post era del 2008)  la dichiarazione di appello di Papa Benedetto XIV contro le violenze verso i cristiani irakeni.


§§§

5 – Messaggi verso l’alto e conclusioni

Che dire in conclusione di questa analisi.

La Bigelow ci ha un po’ deluso, dobbiamo tristemente ammetterlo.

Presentato nella recente rassegna di Venezia 65, il progetto risulta molto ambizioso, non c’è che dire.

Probabilmente corrette sono le intuizioni narrative.

Ma non sempre all’altezza risulta il loro sviluppo.

Forse sono troppo velleitarie le ambizioni del racconto.

Una storia ambientata in Iraq, che vorrebbe farci cogliere le nefandezze, universali ed ancestrali, della guerra.

Beh, ok comprendiamo, ma abbiamo già dato, al riguardo, Kathryn.

Insomma a nostro giudizio la Bigelow non riesce né a realizzare un vero reportage di guerra, né a farci riflettere, in maniera innovativa, sulla guerra.

Certo l’alienazione del protagonista è sconcertante.

Certo auspichiamo che, mai più, un soldato venga costretto a diventare così coraggioso, ma, nel contempo, così distante dai veri valori per i quali ha senso vivere … ed è forse questo il più importante messaggio verso l’alto della pellicola.

Una conclusione molto giusta, ma, ammettiamolo, alquanto scontata.

Una cosa è certa.

La guerra non la vogliamo, ed è giusto continuare a girare film che ci mostrino la sua assurdità, ma, cara Kathryn, ti preferiamo di più quando giri ed inventi storie di finzione, piuttosto che quando cerchi di attingere dalla realtà.

Attingere dalla realtà per trasformala in finzione è un’operazione assai complessa, in cui solo grandi maestri del calibro di Kubrik, sono riusciti a rendere grande.

Alla prossima.

countdown
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Cinemasema
16 anni fa

Spero di vederlo perché un film della Bigelow mi incuriosisce sempre e perché ho letto giudizi contrastanti sulla sua qualità. La tua recensione è molto interessante e utilissima per affrontare la visione di The Hurt Locker.

gahan
16 anni fa

Il realtà, eccezion fatta per le tue conclusioni, in quello che hai scritto io intravedo solo cose interessanti: mi sembra un film, come ho letto altrove, molto teorico. E per questo me lo aspetto anche molto duro, anche se non appariscentemente duro. Da questo punto di vista, credo mi interesserà molto paragonarlo al “Redacted” di De Palma. Se solo trovassi una sala nelle vicinanze dove vederlo, accidenti.

Nonostantetutto
16 anni fa

http://cineb

[..] The Hurt Locker Nonostantetutto [..]

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